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By Luke Sumpter


Cultivar, chemovar e chemiotipi. Sai cosa significano queste parole? E conosci le loro differenze? Scopri le esatte definizioni, perché dobbiamo usare questi termini e come andranno a beneficio dell’intero settore, dai ricercatori ai consumatori.

La cannabis sembra semplice, vero? A prima vista, questa umile erba sembra solo una delle tante piante, ma in realtà la cannabis è una delle piante da coltivazione più complesse. Non ci vuole molto dopo il tuo primo tiro per imbatterti in un vasto lessico che descrive l’erba stessa, tutte le diverse varietà, una lunga lista di metodi di coltivazione e persino diversi modi per assumerla.

Ad aumentare la confusione ci sono le migliaia di “varietà” di cannabis disponibili nelle seed bank, nei coffeeshop e nei dispensari. Per quanto riguarda la cultura popolare, la sua classificazione più comune fornisce una buona descrizione di ciò che offre ciascuna varietà. I ceppi che tendono verso l’estremità “indica” della gamma sono noti per i loro effetti fisici e di sballo, mentre gli effetti delle varietà che tendono verso il lato sativa sono percepiti come energizzanti e cerebrali.

Ma nell’industria della cannabis la scienza porta a sviluppi rapidi e le cose si muovono velocemente. Sebbene il termine “strain” o “ceppo/varietà” abbia avuto un suo scopo per diversi decenni, oggi ha sicuramente fatto il suo tempo: le complesse sfumature della cannabis richiedono ora delle descrizioni e delle categorizzazioni più approfondite. Non solo termini come “chemovar” e “chemiotipo” forniscono maggiori dati ai ricercatori, ma offrono anche ai consumatori delle informazioni più affidabili al momento di acquistare fiori o semi. Continua a leggere per sapere perché è arrivato il momento di usare nuovi termini, cosa significa ciascuno di essi e perché sono importanti.

Classificazione attuale della cannabis: Una “restrizione” del settore?

Sono disponibili migliaia di varietà di cannabis. Fra i più grandi nomi sugli scaffali dei dispensari troviamo ad esempio White Widow, Amnesia, OG Kush, Northern Lights e Haze. Questo incredibile numero di varietà deriva da decenni di breeding selettivo ed ibridazione. I breeder identificano continuamente i tratti più desiderabili ed incrociano diversi esemplari per amplificare questi tratti. Il risultato? Un enorme catalogo di varietà di cannabis.

Il concetto di strain è così radicato nell’industria della cannabis che sembra sfuggire al controllo. Certo, questo metodo rimane il modo più popolare per nominare e classificare le varietà di cannabis, ma non riflette necessariamente il vero profilo chimico, e quindi l’effetto, di ogni tipo. Anche se questo potrebbe non causare problemi per l’entusiasta utilizzatore ricreativo, non è l’ideale per i consumatori che cercano un’esperienza coerente ed affidabile.

La mancanza di coerenza derivante da questo vago sistema di classificazione può lasciare i consumatori indecisi o confusi. Ad esempio, potresti entrare in un dispensario e prendere un ceppo chiamato White Widow, e poi andare in un altro punto vendita nel quartiere successivo, prendere lo stesso ceppo e sperimentare un effetto diverso. Una serie di variabili può alterare la composizione chimica all’interno della stessa varietà di cannabis, inclusa la variabilità genetica e i fattori ambientali.

Classificazione attuale della cannabis: Una “restrizione” del settore?
  • La ricerca sulla cannabis ha bisogno di una nuova terminologia

Alcuni esperti di cannabis sono molto critici nei confronti del sistema di classificazione a “ceppo” e chiedono nuovi modi per etichettare l’erba. Il dottor Ethan Russo, neurologo e ricercatore sulla cannabis, ha definito l’idea delle varietà un’assurdità ed ha precisato come questo sia un termine meglio applicabile ai batteri. Anche l’esperto di cannabis medica Arno Hazekamp è intervenuto nel dibattito, riferendo che questo sistema vernacolare di categorizzazione dei ceppi si è sviluppato indipendentemente dai sistemi scientifici e tassonomici[1].

Hazekamp indica diverse ragioni fondamentali per cui è emerso il concetto di ceppo. Invece di riflettere una differenza nella composizione chimica, probabilmente è nato come una forma gergale che aggiunge un senso di raffinatezza alla cultura della cannabis[2], non dissimile dal modo in cui gli intenditori di vino descrivono i diversi vini. Inoltre, Hazekamp indica anche il marketing come origine di questo concetto: poiché la cannabis genera un sacco di soldi, l’esplosione dei nomi per i suoi ceppi probabilmente riflette il desiderio dei breeder e dei coltivatori di creare una nicchia per il loro particolare prodotto.

Questo significa che dovremmo smettere del tutto di usare i nomi dei ceppi? Non necessariamente. Questi nomi servono come buon metodo per differenziare le caratteristiche su un livello di base. Sebbene non siano i più precisi, hanno un senso in punti vendita come i coffeeshop olandesi e le seedbank orientate alla coltivazione domestica.

Tuttavia, termini diversi potrebbero risultare più utili ad utilizzatori per scopi medici, ai ricercatori ed agli appassionati ricreativi più seri. Se i consumatori saranno consapevoli delle differenze tra questi termini, eviteranno confusione e svilupperanno un occhio più attento al momento della scelta. Continua a leggere per dare uno sguardo al futuro del lessico della cannabis e per scoprire il significato di termini alternativi in grado di descrivere le sue varietà.

Cultivar o varietà: Qual è la differenza?

È probabile che ti sia imbattuto nella parola “cultivar” mentre facevi acquisti di semi di cannabis. Ma in che modo questa parola può aiutare la classificazione? Bene, questa è l’abbreviazione di “varietà coltivata”. Se hai la passione del giardinaggio, avrai visto questo termine nei cataloghi di semi e nei negozi di giardinaggio. Come termine orticolo (non come designazione tassonomica), si riferisce semplicemente ad una pianta selezionata o modificata dall’uomo nel corso del tempo.

La riproduzione selettiva consente ai coltivatori di ibridare le piante per rafforzare dei tratti specifici. Questo non solo produce piante, come verdure, cannabis e frutta, con caratteristiche diverse, ma crea anche varietà più stabili. Le cultivar sono varianti distinte che esistono all’interno della stessa specie. Provengono da un clone/talea della stessa cultivar o da semi stabili che sono stati reincrociati per ottenere stabilità genetica.

Quindi, in cosa differisce una cultivar da una varietà? Da qualche parte, un giorno i coltivatori e i breeder di cannabis hanno iniziato ad usare il termine errato “ceppo” al posto del “cultivar” corretto dal punto di vista dell’orticoltura. La parola “ceppo” si usa più comunemente nei campi della virologia e della microbiologia, dove descrive la variazione genetica all’interno dei microrganismi. A volte potresti vedere questa parola relativa alla selezione genetica al di fuori del mondo della cannabis, ma qui descrive principalmente discendenze derivanti da modificazioni genetiche. Nel complesso, la parola “cultivar” non aiuta a migliorare la classificazione delle varietà di cannabis di per sé, ma fa molto per chiarire e correggere la nomenclatura.

Cultivar o varietà: Qual è la differenza?

Cosa sono i chemiotipi della cannabis?

“Chemiotipo” sta per “tipo chimico”. Il termine è emerso per la prima volta negli anni ’70, quando gli scienziati della cannabis hanno cercato un modo semplice per raggruppare le cultivar in base al loro cannabinoide primario. Il botanico Ernest Small ha ideato tre diversi chemiotipi che ruotano attorno ai due cannabinoidi più importanti nell’erba:

Tipo 1 Questo chemiotipo contiene alti livelli del cannabinoide psicotropo THC. La grande maggioranza delle cultivar moderne rientra in questa categoria. Queste piante sono ricercate dagli utilizzatori ricreativi che vogliono sballarsi, così come da chi usa l’erba per scopi olistici.
Tipo 2 Questo chemiotipo presenta un rapporto equilibrato di THC e CBD. Le cultivar con questo equilibrio stanno diventando sempre più popolari tra gli utilizzatori di cannabis sia ricreativi, sia olistici. Offrono un notevole effetto psicotropo, ma quantità uguali di CBD attenuano il picco degli effetti del THC e possono ridurre gli effetti collaterali psicologici negativi.
Tipo 3 Questo chemiotipo possiede alti livelli di CBD insieme a bassi livelli di THC. Per questo motivo, le sue varietà producono poco o nessun effetto psicotropo. Sia gli utilizzatori ricreativi, sia quelli olistici ne descrivono gli effetti come lucidi, utili e funzionali.
Cosa sono i chemiotipi della cannabis?

Come puoi vedere, i chemiotipi sono un modo semplice e quasi riduttivo per classificare le varietà di cannabis. Questo metodo va dritto al punto e si concentra esclusivamente sul cannabinoide dominante. Pur perdendo alcuni dettagli più fini, consente immediatamente a consumatori e ricercatori di sapere con cosa hanno a che fare in termini di effetti psicotropi.

I tre chemiotipi di cui sopra possono aiutare i consumatori in diversi modi. Chi non ha particolari preferenze su sapori ed aromi potrebbe semplicemente selezionare una varietà basata sul chemiotipo per semplificare le cose. In questo modo, l’utilizzatore potrebbe farsi un’idea dell’esperienza che lo attende, senza perdersi nel mondo dei “ceppi” e delle “cultivar”.

Ma esistono più di tre chemiotipi, ed inoltre i ricercatori stanno studiando gli effetti dei cannabinoidi meno conosciuti. Questi ultimi alla fine riceveranno la propria designazione di chemiotipo, rendendo le cose ancora più organizzate ed immediate sia per i consumatori, sia per i ricercatori. Di seguito sono riportati quelli che attualmente rappresentano i restanti due chemiotipi:

Tipo 4 Questa varietà contiene alti livelli di CBG (cannabigerolo). Conosciuto come “cannabinoide madre”, la forma acida di questo composto, il CBGA, funge da precursore chimico del THC e del CBD. Il CBG non è psicotropo e gli studi oggi in corso stanno esplorando il suo potenziale antinfiammatorio.
Tipo 5 Questo chemiotipo non contiene, dovevi aspettartelo, nessun tipo di cannabinoide! Sebbene questo possa sembrare deludente ed inutile, il chemiotipo di tipo 5 ha uno scopo importante. Queste varietà sono utili durante la ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti a base di cannabis. Ad esempio, la mancanza di cannabinoidi apre la strada alla produzione di ceppi con alti livelli di terpeni, che possono rivelarsi utili in ambito clinico.

Chemovar della cannabis: Un mezzo di classificazione più accurato

“Chemovar” sta per “varietà chimica”. Questo potrebbe sembrare simile alla definizione di chemiotipo, ma la classificazione entra in dettagli molto più fini. Mentre i chemiotipi descrivono solo il cannabinoide dominante all’interno di una varietà, i chemovar riflettono 1–2 dei cannabinoidi più abbondanti e 2–4 dei terpeni più dominanti.

Includere una gamma più ampia di sostanze fitochimiche all’interno di questa definizione offre al consumatore ed al ricercatore un’idea molto più chiara dei possibili effetti. Arno Hazekamp ha pubblicato articoli che esplorano il concetto e l’utilizzo dei chemovar. Qui afferma che i ricercatori affrontano sfide significative sulla cannabis medica derivanti dal paradigma della farmacologia “singolo composto–singolo bersaglio”. Sebbene questa prospettiva possa aiutare a determinare gli effetti di sostanze fitochimiche isolate, non considera le interazioni potenzialmente profonde che si verificano tra i composti derivati dalla cannabis.

Chemovar della cannabis: Un mezzo di classificazione più accurato
  • “Chemovar” tiene in considerazione l’effetto entourage

Il termine “effetto entourage” descrive come cannabinoidi e terpeni entrino in sinergia. Il dottor Ethan Russo ha svolto un ruolo importante nella divulgazione di questa teoria, ed il suo articolo “Taming THC”[3] documenta possibili accoppiamenti di terpeni e cannabinoidi. Ad esempio, gli studi stanno esplorando la capacità del linalolo di potenziare gli effetti del CBD e del pinene di ottimizzare gli effetti del THC.

Classificare le varietà di cannabis in chemovar conosciute eliminerebbe l’incoerenza del termine “ceppo”, fornendo inoltre molte più informazioni rispetto al modello chemiotipico. Hazekamp afferma che identificando e quantificando tutti i principali componenti chimici nelle varietà di cannabis, potremmo classificare efficacemente le diverse cultivar in un piccolo numero di gruppi omogenei. Questo aiuterebbe i consumatori a mettere le mani su un prodotto più trasparente ed accurato, mentre faciliterebbe il lavoro dei ricercatori nel comprendere veramente i particolari effetti prodotti da diverse miscele chimiche.

L’idea di chemovar resta oggi nelle sue prime fasi. I ricercatori mirano anzitutto a raggruppare le varietà in base ai loro profili chimici e poi a scoprire quali chemovar funzionino meglio per determinate condizioni cliniche. Finora, gli scienziati della cannabis hanno determinato che i chemovar con predominanza di terpinolene provocano effetti energizzanti, mentre quelli più ricchi di cariofillene e mircene sono studiati per la loro capacità di ridurre il mal di testa.

La classificazione in chemovar aiuterà sicuramente i ricercatori a comprendere meglio gli effetti della cannabis, ma come possono aiutarti quando acquisti fiori o semi? I produttori, le seedbank e i coffeeshop vedranno continuamente i valori dei test di laboratorio ed otterranno più dati sui loro prodotti, offrendo quindi ai loro clienti accesso ad informazioni che aiuteranno immensamente nella scelta del prodotto giusto.

Oggi siamo abbastanza lontani da questo risultato, ma ci sono segni che la transizione sia in corso. E questo è un cambiamento che andrà a beneficio di tutti. Pensaci: invece di fare affidamento esclusivamente su nomi come “White Widow” od “OG Kush” e sperare di ottenere l’effetto che stai cercando, potresti vedere qualcosa come “Chemovar di tipo II: 9% CBD, 10% THC, dominanza di mircene e linalolo” accanto ai loro nomi famosi.

External Resources:
  1. Cannabis: From Cultivar to Chemovar II—A Metabolomics Approach to Cannabis Classification https://www.liebertpub.com
  2. Exploring the Sativa Indica dilemma https://www.researchgate.net
  3. Taming THC: potential cannabis synergy and phytocannabinoid-terpenoid entourage effects https://www.ncbi.nlm.nih.gov
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